Definizione e esaltazione del vuoto

Definizione e esaltazione del vuoto

Spesso di sera, mentre sono a letto, aspettando di prendere sonno, mi assale una strana sensazione. I pensieri, improvvisamente, si ingigantiscono diventando anche più pesanti di quello che sono realmente. Dunque, nell’ultimo periodo, ho deciso di indagare su questo stato che si presenta, spesso e volentieri, la sera senza che io lo voglia.

Voglio analizzare lo stato di inquietudine, dovuto a quella serie di pensieri e preoccupazioni che mi assalgono insensatamente, come il lavoro che non va come vorresti, i clienti che non pagano o qualcosa che vorresti che andasse in un verso mentre va proprio nel verso opposto. “Ma tutto sommato non è che va proprio tutto male”.

Il pieno e il vuoto, opposti ma anche paralleli, due elementi della stessa forma

La vita la si può definire molto attiva, ma fondamentalmente priva di emozioni apoteosiche, con tantissimi micro problemi che apparentemente sembrano non esserci; quindi, rinnegandoli, conduciamo una vita che si sostiene su micro soddisfazioni quotidiane. Il pieno e il vuoto, due elementi che procedono di pari passo a tal punto che passare dall’uno all’altro richiede un attimo (l’attimo prima sono felice e subito dopo no).

Viviamo con la convinzione che il “vuoto” non faccia per noi. Ad esempio, una vita (con) sarà sempre migliore di una vita (senza), e non importa se quel (con) è qualcosa che ci fa del male o realmente non comporti nessun cambiamento, perché l’importante è avere: l’importante è sentirci soddisfatti senza doverci privare di nulla.

Tutto questo ci viene dettato dalla nostra cultura occidentale, quel senso di insoddisfazione che ci porta ad esigere “sempre di più”, e ad avere il costante bisogno di qualcosa che ci manca. Essa è tutto l’opposto delle filosofie orientali, il cui fulcro è il culto del poco, di accontentarsi di quello che si ha per essere felici, senza ambire al superfluo, non vivendo nella nostra dissonanza cognitiva, ma essere in grado di vivere il momento “qui ed ora”.

Il pieno e il vuoto, opposti ma anche paralleli, due elementi della stessa forma.

 

Il pensiero giapponese

Quindi, prendiamo in considerazione il pensiero Giapponese, dove il vuoto non è solo tale, dove non fa paura: il mu (in giapponese), il vuoto orientale, che non è realmente vuoto, non è propriamente non-essere ma un’essenza, un’energia; è quella pagina vuota prima che vi si scriva qualcosa, l’intervallo tra due note musicali, lo spazio tra le mani che stanno per scontrarsi in un applauso; è l’universo, apparentemente vuoto, che invece pulsa di energia ovunque.

Un ramo del Buddhismo, proprio quello zen, va ancora oltre: il vuoto costituirebbe l’essenza delle cose, visibile solo con il raggiungimento dell’illuminazione. I maestri zen la rappresentano con un cerchio (ensō, in giapponese), simbolo del fluire della vita e dell’universo, un segno morbido con un vuoto (o pieno?) al centro: il vuoto e la forma sono, dunque, un tutt’uno, per cui, nello zen, accettare il vuoto significa anche accogliere la forma che scaturisce da esso. “Tutto è parte della vita che va vissuta”.

Vuoto pieno di potere

John Milton Cage Jr., nel 1952, diede un concerto di pianoforte: seduto allo strumento, per 4 minuti e 33 secondi, non fece niente; poi si alzò e se ne andò. Ma quel silenzio non fu silenzio: si riempì del rumoreggiare del pubblico in sala, delle imperfezioni sonore dell’ambiente, per cui il vuoto di musica non fu un vero vuoto, dimostrando che il silenzio assoluto non esiste (usa l’immaginazione per questa scena).

Il vuoto è sempre pieno di qualcosa

Questo senso di vuoto, che costantemente sentiamo e che cerchiamo continuamente di riempire con la vita quotidiana, con le canzoni, i film, il cibo, persino con l’ultimo smart phone per sentirci parte di qualcosa, è frutto dell’essere incapaci di percepire che abbiamo già tutto, il che significa il non sapere apprezzare tutto quello che abbiamo, e che forse la vera mancanza di qualcosa ci possa rendere addirittura più leggeri. È Il vuoto che ci dà la possibilità di aprirci al nuovo: il vuoto è di per sé l’esigenza inconscia di crescere.

Ma noi siamo occidentali, nulla ci basta, possiamo anche sforzarci a vederla in modo “orientale” e quindi cercare di essere consapevoli della pienezza del vuoto, ma resteremo sempre in attesa di qualcosa.

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